Tecnico sì, ma anche strategico. Tra le figure più richieste nella corsa alla digitalizzazione c’è un nuovo protagonista: il programmatore backend che padroneggia anche l’Intelligenza Artificiale (AI). Non si tratta più solo di “scrivere codice”, ma di costruire infrastrutture intelligenti capaci di guidare il cambiamento in aziende, pubbliche amministrazioni, ospedali e banche.
Una professione in rapida ascesa
Il mondo del lavoro sta cambiando a ritmo serrato. Secondo previsioni globali, che risalgono già al 2023 e che potete consultare al weforum.org (World Economic Forum) le professioni legate all’AI e al machine learning cresceranno del 40% entro il 2027. Solo in Italia, nei prossimi tre anni serviranno circa 920.000 nuovi esperti digitali per sostenere la transizione verso un’economia sempre più data-driven. Tuttavia, trovare queste competenze è difficile: quasi la metà delle posizioni digitali resta scoperta. E tra i profili più rari e quindi più preziosi c’è proprio chi sa integrare l’AI nei sistemi informativi e nei software backend. Vi riporto un altro dato a supporto di quanto ho appena scritto: 362 mila lavoratori con competenze su AI, cloud, IoT, big data e altre tecnologie 4.0 sono risultati carenti rispetto alla domanda (fonte: Confartigianato Imprese). Questa carenza di talenti certifica quanto strategico e raro sia il profilo del programmatore backend capace di integrare soluzioni AI nei sistemi informativi.
Un moltiplicatore d’impatto
L’apporto di questi professionisti si fa sentire ovunque. Nell’industria 4.0, contribuiscono a rendere “intelligenti” le fabbriche, integrando l’AI per automatizzare processi e prevedere guasti prima che accadano, vedi ad esempio quanto riportato su focus industria 4.0.
Nella Pubblica Amministrazione, aiutano a semplificare la burocrazia e migliorare i servizi al cittadino: basti pensare che solo il 44% degli enti pubblici italiani ha iniziato a usare l’AI, ma dove è presente, i benefici sono concreti.
In sanità, le loro competenze aiutano a gestire enormi quantità di dati clinici e a supportare diagnosi più rapide ed efficaci, con il potenziale di migliorare l’assistenza e gli esiti di cura.
Anche i servizi finanziari si affidano sempre più a queste figure “ibride” che sanno creare piattaforme intelligenti, come quelle che usiamo per gestire pagamenti o ottenere consigli di investimento personalizzati in tempo reale.
Una figura al centro delle strategie europee
Giovani con skill digitali e AI avranno un ruolo cruciale nel rinnovamento del Paese, dato che l’Intelligenza Artificiale è destinata a trasformare il mondo del lavoro. L’Italia, con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), e l’Europa con l’AI Act, stanno investendo per favorire la diffusione dell’AI e formare una nuova generazione di esperti digitali.
Il messaggio è chiaro: senza figure capaci di fondere sviluppo software e intelligenza artificiale, la transizione digitale rischia di restare un’idea sulla carta. L’Unione Europea ha stimato che solo il 13,5% delle imprese ha adottato l’AI, e vuole invertire la tendenza, sostenendo formazione, assunzioni e innovazione. Per approfondire leggere questo articolo di UNIONCAMERE.
API e AI per soluzioni intelligenti e scalabili
Per i meno tecnici tra di voi spieghiamo cosa è una API.
Un’API (sigla di Application Programming Interface, cioè Interfaccia di Programmazione di un’Applicazione) è un insieme di regole e protocolli che permette a due software di comunicare tra loro.
In parole semplici, un’API è come un cameriere in un ristorante:
- Tu (il client) fai un ordine (una richiesta).
- Il cameriere (l’API) porta l’ordine in cucina (il server).
- Poi ti restituisce il piatto (la risposta).
Se un’app di meteo mostra il tempo nella tua città, probabilmente sta usando un’API per:
- Inviare una richiesta al server del servizio meteo (es. “dimmi il meteo di Milano”),
- Ricevere una risposta in formato dati (es. JSON),
- Visualizzare le informazioni in modo leggibile per l’utente.
Le API che fungono da scudo per l’accesso alle basi di dati rivestono un ruolo fondamentale perché garantiscono sicurezza, controllo e flessibilità nell’uso dei dati. Invece di permettere l’accesso diretto al database, che espone potenzialmente a rischi di violazioni o errori, le API agiscono come un filtro: ricevono le richieste, le validano, verificano i permessi dell’utente e restituiscono solo ciò che è autorizzato. In questo modo si evita che dati sensibili vengano esposti o che vengano eseguite operazioni indesiderate.
L’utilizzo di API consente anche di semplificare la comunicazione tra il sistema e gli utenti o altri servizi. L’utente non ha bisogno di conoscere la struttura interna del database o il linguaggio SQL: è sufficiente inviare una richiesta all’API e riceverà una risposta formattata, pulita e pronta per l’uso. Questo rende lo sviluppo software più rapido, standardizzato e meno soggetto a errori.
Le API permettono inoltre di centralizzare il controllo su cosa viene richiesto e da chi. Possono essere applicate regole di sicurezza, limiti sul numero di richieste, registrazione dei log e blocco di accessi sospetti. Tutto questo è molto più difficile da gestire se si consente l’accesso diretto al database.
Un altro vantaggio importante è che le API disaccoppiano il database dai servizi che lo utilizzano. Se un domani cambiasse il tipo di database, la struttura o la piattaforma, i client che comunicano tramite l’API non ne risentirebbero, perché l’interfaccia rimane la stessa. Questo è essenziale in architetture moderne, distribuite e scalabili, come quelle che integrano microservizi.
Le API sono il sistema che utilizzano i sistemi di AI per comunicare con l’esterno.
Non scenderò oltre nel lato tecnico per non annoiarvi, il concetto che vorrei fosse recepito è che il programmatore backend con competenze in AI è oggi una sorta di architetto dell’intelligenza digitale. Costruisce soluzioni che agganciandosi alle API di un ecosistema software AI non solo funzionano, ma crescono con l’organizzazione, ogni componente viene pensato per adattarsi, integrarsi, evolversi.
Soft Skill come collante umano della trasformazione digitale
Se le competenze tecniche permettono di costruire il futuro digitale, le soft skill servono a renderlo vivibile e condiviso. Introdurre l’AI nei processi aziendali o nei servizi pubblici non è solo una questione di codice, ma di persone, serve empatia, comunicazione efficace, capacità di collaborazione e leadership.
Un programmatore backend con una solida base tecnica, ma anche con intelligenza emotiva e sensibilità organizzativa, può facilitare l’adozione dell’AI senza traumi, accompagnando team e stakeholder nel cambiamento. Queste figure diventano veri e propri “traduttori” tra il linguaggio delle macchine e quello delle persone, aiutando a superare timori, resistenze e incomprensioni.
In un mondo in cui la tecnologia evolve velocemente, la capacità di ascoltare, mediare e guidare il cambiamento è ciò che trasforma un buon tecnico in un professionista strategico.
Il backend AI engineer è molto più di un tecnico: è un abilitatore di futuro. La sua capacità di combinare codice, dati e algoritmi lo rende essenziale per portare avanti la trasformazione digitale in maniera concreta e scalabile. In un mondo dove la tecnologia è sempre più il cuore del cambiamento, investire in queste competenze non è solo utile, è indispensabile.
Grazie per aver letto l’articolo!
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Nerd per passione e per professione da 30 anni, mi occupo di progettazione di ecosistemi software di alto livello come CTO e di docenze in ambito informatico. Mi potete contattare dal mio profilo linkedin a https://www.linkedin.com/in/andreatonin